Falso invalido smascherato ad Agrigento

Dal 2014 percepiva una pensione d’invalidità al 100% dall’Inps e lo scorso 24 dicembre è stato rintracciato e denunciato dagli uomini della Squadra mobile di Agrigento per truffa e falsità materiale.

Si tratta di un 62enne che è riuscito a farsi riconoscere l’invalidità per dei disturbi mentali, ovviamente inesistenti, che ne compromettevano la capacità di compiere atti quotidiani per cui necessitava di assistenza continuativa.

Le indagini dei poliziotti invece hanno accertato che l’uomo era assolutamente autonomo, deambulava, lavorava e conduceva una vita normalissima tanto da far scattare il procedimento penale con cui è stato smascherato.

Dalle riprese video effettuate è palese la pantomima dell’indagato al momento della convocazione in Questura mentre accompagnato da un parente fingeva di soffrire delle patologie descritte, mentre in quelle effettuate durante l’indagine, era chiaro che l’uomo era in perfetta forma fisica e mentale.

Risolto un Cold case a Bari, arrestato l’assassino di “Margherita”

Colde Case BariIl ritrovamento di un cadavere senza nome nel 2017 nei locali delle ex acciaierie “Scianatico” di Bari, aveva fatto scattare le indagini degli investigatori della Questura che, questa mattina, hanno arrestato un uomo ritenuto responsabile di omicidio, riduzione in schiavitù, occultamento e vilipendio del cadavere di una donna.

La vittima, una cittadina polacca conosciuta come “Margherita” è stata assassinata nel 2012, all’età di 50 anni e gli investigatori sono risaliti alla sua identità e a quella del suo assassino dopo un meticoloso lavoro di squadra fatto tra gli uomini della Squadra Mobile, quelli dell’Unità delitti insoluti, dello Sco (Servizio centrale operativo) e quelli del Servizio di polizia scientifica.

I resti scheletrici della povera Margherita furono trovati all’interno del vano tecnico dell’ultimo piano di un edificio in disuso della ex acciaieria, coperto da assi e cassette di legno, quasi a formare una “bara” e avvolto da nastro adesivo.

Durante il sopralluogo, in alcune stanze del secondo piano dell’edificio, furono rinvenuti numerosi capi di abbigliamento, soprattutto femminili, alimenti e cose varie, tanto da far presumere che la struttura fosse stata abitata da persone senza fissa dimora; ed è proprio in questo ambito che gli investigatori rivolsero le indagini.

A rendere concreta la pista seguita dagli investigatori furono i risultatati degli esami dell’autopsia che stabilì che i resti umani ritrovati appartenevano ad una donna, deceduta da diversi anni a causa di uno “shock traumatico ad alta componente emorragica” e poi alcune scritte su due porte dell’edificio che indussero gli agenti a cercare qualcuno conosciuto con quei nomi di battesimo tra i senza fissa dimora.

Venne accertato che la cittadina polacca, identificata come Szlezak Malgorzata nata a Dabrowa Gornicza (Polonia) nel 1962, e conosciuta con il nome di “Margherita”, fino al mese di maggio del 2012 era stata trattata in diversi interventi sia dal 118 che dalla Polizia di Stato.

La conferma che i resti fossero proprio di Margherita gli investigatori la hanno trovata nei risultati dal Dna estratto dallo scheletro che comparato con il campione biologico estratto da un tampone eseguito sulla donna nel 2009, a seguito di una violenza sessuale subita, ha dato la conferma dell’identità della stessa.

A concorrere all’identificazione del suo assassino, invece, sono state altre scritte trovate durante il sopralluogo il cui contenuto sembrava proprio una dichiarazione di morte nei confronti della donna.
Messe a confronto grafico con quella del presunto autore del gesto, le scritte determinarono non solo la paternità delle stesse ma anche la presenza dell’uomo in quel luogo insieme a Margherita; inoltre, a conferma  anche la dichiarazione di molte persone con cui i due avevano avuto a che fare nel tempo: è emerso che la relazione tra la vittima ed il suo assassino risaliva all’anno precedente della morte della donna, che inizialmente la coppia era stata ospitata nel campo di accoglienza della Croce Rossa Italiana della città per poi trovare rifugio nei locali delle ex acciaierie. 

Intercettazioni sia ambientali che telefoniche e le dichiarazioni rese confermarono, inoltre, lo sconsiderato rapporto tra i due, basato su violenze, vessazioni ed un totale isolamento della donna sfociato poi nel suo omicidio.

Olivia Petillo

Gabrielli a Firenze per un Protocollo sulla sicurezza

Gabrielli a Firenze per la firma di un protocolloIl capo della Polizia Franco Gabrielli ha presenziato alla firma di un Protocollo d’intesa regionale con la prefettura di Firenze per iniziative rivolte all’innalzamento della sicurezza nelle discoteche. L’evento si è svolto in prefettura a Palazzo Medici Riccardi, all’interno del Salone Carlo VIII.

Promosso dalla Prefettura, al protocollo hanno aderito anche le altre prefetture toscane, la Regione Toscana, l’Associazione nazionale comuni italiani (Anci) della Regione e le associazioni di categoria.

Promuovere iniziative corrette di divertimento e informare i giovani sulle conseguenze delle proprie azioni, intensificare la vigilanza e il controllo degli enti preposti, l’impiego dei metal detector, l’utilizzo del contapersone da parte dei gestori dei locali, nonché anche l’impiego dei defibrillatori; queste solo alcune delle iniziative previste dal Protocollo che si concretizza in tre fasi principali: formazione, controlli e funzione degli enti gestori.

Invitato speciale dell’evento il conduttore televisivo Carlo Conti che ha sottolineato l’importanza di queste iniziative meno repressive e più collaborative.

Gabrielli a Firenze per la firma di un protocolloNel corso del suo intervento il capo della Polizia ha espresso il suo apprezzamento dicendo “Non posso che plaudire a questa iniziativa e soprattutto augurare che la cosa parta con il piede giusto, con il giusto coinvolgimento e anche con il giusto convincimento che il buon esito dipenderà inevitabilmente da ognuno di quelle parti che compongono questa importante Squadra”.

Sono intervenuti il prefetto di Firenze Laura Lega, l’assessore al diritto alla salute e al sociale Stefania Saccardi, il presidente di Anci Toscana Matteo Biffoni, il direttore regionale dei Vigili del fuoco Giuseppe Romano e il presidente regionale di Silb-Fipe-Confcommercio Toscana, Alessandro Trolese.

Botti illegali confezionati e sequestrati in un garage a Lecce

sequestro lecceRevocata la licenza per fabbricazione di fuochi artificiali a uno dei due uomini arrestati nei giorni scorsi a Sannicola (Lecce) dai poliziotti del commissariato di Gallipoli con l’accusa di fabbricazione e detenzione illegale di materiale esplodente.

Il provvedimento è arrivato dopo un controllo effettuato lo scorso 5 dicembre nell’abitazione di uno dei due uomini.

All’interno di un garage, infatti, gli agenti avevano rinvenuto e poi sequestrato 100 chili di materiale pirotecnico non classificato e oltre 80 confezioni che contenevano tutto il necessario per la produzione dei manufatti.

L’attività di confezionamento era svolta in un locale inadeguato privo di tutti i necessari sistemi di sicurezza richiesti e il luogo era molto vicino ad altre case, per cui costituiva un serio pericolo nel caso di una possibile esplosione.

Inoltre, il materiale sequestrato non era nè riconosciuto nè tantomeno classificato dal ministero dell’Interno e privo del contrassegno “CE”.

Ex pentiti tornano per “riprendersi” la città, 14 arresti a Messina

Si volevano “riprendere” Messina e per fare questo avevano organizzato una cellula di Cosa Nostra con lo scopo di riconquistare il territorio che un tempo era stato di loro dominio.

Al termine dell’operazione “Predominio”, condotta dalla Squadra mobile di Messina e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia, cinque ex collaboratori di giustizia sono stati arrestati insieme agli altri componenti di un gruppo mafioso specializzato in estorsioni e traffico di sostanze stupefacenti. In tutto sono 14 le persone raggiunte dagli ordini di custodia cautelare, 13 in carcere e uno ai domiciliari.

Gli indagati devono rispondere di associazione per delinquere di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, spaccio, estorsioni, danneggiamenti, detenzione e porto di armi, aggravati dall’associazione mafiosa.

L’attività investigativa ha documentato che i cinque ex collaboratori di giustizia, protagonisti della malavita messinese negli anni ’80 e ’90, dopo essere tornati in città, avevano ripristinato i legami con la criminalità organizzata, con lo scopo di riaffermare la propria egemonia criminale sul territorio; per realizzare l’obiettivo erano disposti anche ad entrare in contrasto con gli altri gruppi criminali già attivi nella zona che non erano disposti ad accordarsi con loro.

L’indagine, iniziata nel luglio 2018 e conclusa nel marzo scorso, attraverso numerose intercettazioni telefoniche e ambientali, servizi di appostamento e pedinamento, analisi di tabulati e dichiarazioni di collaboratori di giustizia, ha fatto luce sul tentativo di costituire una nuova cellula di Cosa Nostra.

Il gruppo mafioso faceva leva sulla notevole capacità intimidatoria degli ex grandi nomi della malavita cittadina, che si erano dimostrati in grado di imporre le proprie decisioni grazie anche alla disponibilità di armi da fuoco, danneggiamenti e atti intimidatori.

L’attività trainante per l’economia del gruppo criminale era sicuramente il traffico di droga, soprattutto cocaina e marijuana, che veniva acquistata all’ingrosso per rifornire gli spacciatori messinesi; numerosi gli episodi di cessione di stupefacenti accertati e documentati durante il corso delle indagini.

Per rintracciare e catturare i destinatari delle ordinanze di custodia cautelare la Mobile di Messina si è avvalsa della collaborazione di equipaggi del Reparto prevenzione crimine di Palermo e degli operatori delle Squadre mobili di Catania e Pescara.

Sergio Foffo